CENA DEL SIGNORE: BANCHETTO O CARESTIA?

Il pasto è costituito da pietanze portate un po’ “a caso” da tutti i partecipanti o, come diciamo scherzosamente noi, “preparate dalla provvidenza”. Ciascuno porta del cibo da condividere con tutti gli altri. Quando è bel tempo, tutto il cibo viene posto su un lungo tavolo pieghevole, all’aperto. C’è un recipiente pieno di ghiaccio vicino al tavolo delle bevande. I bambini ci girano attorno correndo sfrenatamente. Si stanno divertendo così tanto che i genitori sono costretti a fermarli, metterli in riga e incoraggiarli a mangiare. Dopo essere stata offerta una preghiera di ringraziamento, le persone si mettono in fila, parlando e ridendo mentre riempiono i piatti di cibo. In mezzo a tutto quel cibo si trova un solo pane accanto a un grande recipiente che contiene il frutto della vite. Ogni credente prende un po’ di pane e di vino (o di succo d’uva), servendosi da solo.

I bambini più piccoli sono incitati a occupare i pochi posti disponibili a una tavola da pranzo. (Loro possono essere sicuramente caotici!). Le sedie per gli adulti (non ce ne sono abbastanza per tutti) vengono raggruppate in cerchio, occupate soprattutto dalle donne, che mangiano mentre parlano della “scuola fatta in casa” , dell’educazione dei figli, di cucito, di un imminente evento organizzato dalla chiesa, della nuova chiesa che si spera di avviare, ecc. La maggior parte degli uomini resta in piedi a mangiare, mantenendo il piatto in equilibrio sul proprio bicchiere, raggruppandosi in piccoli gruppi a discutere su come risolvere i problemi del mondo intero o a dibattere su qualche interessante argomento teologico. L’atmosfera non è diversa da quella di un banchetto di nozze. È un momento speciale per avere comunione, incoraggiamento, edificazione, amicizia, dimostrazioni di affetto, coinvolgimento emotivo, preghiera, esortazione e per maturare. Ma perché si fa tutto questo? Nel caso non l’abbiate riconosciuta, questa è la Cena del Signore, nello stile del Nuovo Testamento!

Per quanto strano possa sembrare tutto ciò alla chiesa contemporanea, la chiesa del I sec. partecipava gioiosamente alla Cena del Signore come a un banchetto che prefigurava la Cena delle Nozze dell’Agnello. Fu soltanto dopo la fine dell’èra neotestamentaria che la Cena del Signore venne a modificarsi rispetto alla sua forma originaria.

 

LA FORMA E LA PROSPETTIVA: UN BANCHETTO E IL FUTURO

La primissima Cena del Signore viene anche chiamata l’Ultima Cena, perché fu l’ultimo pasto che Gesù condivise con i Suoi discepoli prima della crocifissione. L’occasione di quel pasto fu la Pasqua. Durante quel banchetto pasquale, Gesù e i Suoi discepoli erano sdraiati presso una mensa stracolma di cibo (Es 12; Dt 16). La tradizione ebraica ci dice che questo pasto durava solitamente diverse ore. Durante lo svolgimento del pasto, “mentre mangiavano” (Mt 26:26), Gesù prese un pane e lo paragonò al proprio corpo. Egli aveva già preso un calice e ne aveva dato da bere a tutti. Successivamente, “dopo aver cenato” (Lc 22:20), Gesù prese di nuovo il calice e lo paragonò al Suo sangue che presto sarebbe stato versato per i nostri peccati. Pertanto, il pane e il vino della Cena del Signore furono presentati nel contesto di un pasto completo e, nel caso specifico, in quello della cena pasquale.

Era mai possibile che i Dodici giungessero alla conclusione che la Cena del Signore appena istituita non dovesse essere un vero pasto? Oppure avrebbero dovuto credere, in modo naturale, che si trattasse di un banchetto simile a quello pasquale? Le risposte sono scontate.

Secondo un grecista, “la Pasqua celebrava due avvenimenti: la liberazione dall’Egitto e l’attesa liberazione del Messia futuro” . Subito dopo l’Ultima Cena, Gesù divenne il definitivo Agnello Pasquale sacrificale, avendo sofferto sulla croce per liberare il Suo popolo dai propri peccati. Gesù desiderò vivamente di mangiare quella Pasqua con i Suoi discepoli, dicendo: “Non la mangerò più, finché sia compiuta nel regno di Dio” (Lc 22:16). Notate che Gesù preannunciò un tempo in cui poter mangiare di nuovo la Pasqua nel regno di Dio. Molti credono che, riguardo al “compimento” (Lc 22:16) di questo, ne scrisse successivamente Giovanni in Apocalisse 19:7-9, quando l’apostolo riferisce di un angelo che dichiara: “Beati quelli che sono invitati alla cena delle nozze dell’Agnello”. L’Ultima Cena e le Cene del Signore della chiesa primitiva preannunciavano tutte un compimento nella cena delle nozze dell’Agnello. Quale modo migliore per simboleggiare un banchetto che farlo con un banchetto?

Quella specifica sera di Pasqua, nostro Signore aveva in mente in modo particolare il Suo futuro banchetto di nozze. Ne fece menzione per la prima volta all’inizio del banchetto pasquale (“Non la mangerò più, finché sia compiuta nel regno di Dio” [Lc 22:16]). La menzionò di nuovo mentre passava il calice, dicendo: “Io vi dico che ormai non berrò più del frutto della vigna, finché sia venuto il regno di Dio” (Lc 22:18). Poi, dopo la cena, Egli fece ancora una volta riferimento al banchetto, dicendo: “Io dispongo che vi sia dato un regno […] affinché mangiate e beviate alla mia tavola nel mio regno” (Lc 22:29-30). R.P. Martin, professore di Nuovo Testamento al Fuller Theological Seminary, ha scritto che ci sono delle “implicazioni escatologiche” nella Cena del Signore “con uno sguardo profetico all’avvento in gloria” .

Mentre i moderni Gentili associano il cielo a nuvole e arpe, gli Ebrei del I sec. pensavano al cielo come a un periodo in cui si avrebbe banchettato alla mensa del Messia. Questa idea di mangiare e bere alla mensa del Messia rientrava nell’immaginario comune del pensiero ebraico del I sec. Ad esempio, una volta un capo dei Giudei disse a Gesù: “Beato chi mangerà pane nel regno di Dio!” (Lc 14:15). Gesù stesso disse che “molti [sarebbero venuti] da Oriente e da Occidente e si [sarebbero messi] a tavola con Abraamo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli” (Mt 8:11).

Il fatto di mangiare associato all’avvento del regno di Cristo potrebbe anche essere riflesso nella preghiera modello suggerita da Gesù in Luca 11. Riferendosi al regno, Gesù ci ha insegnato a pregare: “Venga il tuo regno” (11:2). La richiesta immediatamente successiva è: “Dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano” (11:3). Tuttavia, il testo greco sottinteso in Luca 11:3 è di difficile traduzione. Letteralmente, dice qualcosa simile a “il pane di noi appartenente al giorno futuro, dacci oggi”. Ecco perché la nota a margine della New American Standard Version recita: “il pane per il giorno futuro”. Collegando sia 11:2 sia 11:3, può darsi che Gesù ci stesse insegnando a chiedere che ci fosse dato oggi il pane del futuro banchetto messianico. Vale a dire: “Venga il tuo regno”, ovvero: “Che il banchetto cominci oggi stesso!”. Atanasio lo spiegava come “il pane del mondo a venire” .

La trattazione più esauriente della Cena del Signore si trova ai capitoli 10 e 11 di 1 Corinzi. Le profonde divisioni dei credenti corinzi fecero sì che le riunioni per la Cena del Signore facessero più male che bene (11:17-18). Essi stavano prendendo parte alla Cena “in modo indegno” (11:27, CEI). Le persone più benestanti fra loro, che forse non volevano mangiare con le classi sociali inferiori, arrivavano evidentemente alla riunione così presto e vi rimanevano così a lungo che alcune di loro si ubriacavano. A peggiorare la situazione, quando arrivavano i credenti di estrazione operaia — in ritardo forse per gli obblighi lavorativi —, tutto il cibo era stato consumato. I poveri se ne tornavano a casa affamati (11:21-22). Alcuni Corinzi non riuscivano a riconoscere nella Cena un pasto sacro, legato al patto (11:23-32).

Gli abusi erano così seri che quella che avrebbe dovuto essere la Cena del Signore era diventata, invece, la propria cena (11:21). Ecco perché Paolo chiese: “Non avete forse le vostre case per mangiare e bere?”. Se consumare la propria cena era il loro unico obiettivo, farlo privatamente a casa sarebbe andato benissimo. Il loro egoismo peccaminoso tradiva completamente l’essenza stessa di tutto ciò che significava la Cena del Signore.

In base alla natura del loro abuso, è chiaro che la chiesa corinzia condividesse regolarmente la Cena del Signore come un pasto completo. Al contrario, pochissime persone nelle chiese moderne andrebbero mai a un tipico “servizio di comunione” aspettandosi che la fame fisica venga soddisfatta. Né potrebbero mai ubriacarsi bevendo un bicchierino di vino (e meno ancora di succo d’uva) della grandezza di un ditale.

La soluzione ispirata all’abuso della Cena da parte dei Corinzi non fu che la chiesa smettesse di consumarla come un pasto completo. Invece, Paolo scrisse: “Quando vi riunite per mangiare, aspettatevi gli uni gli altri”. Solo a quelli più affamati, indisciplinati o egoisti, che non riuscivano ad aspettare gli altri, viene dato l’ordine che “mangi[no] a casa” (1 Cor 11:34). C.K. Barrett ha fatto il seguente avvertimento: “Apparentemente, questo sembra implicare che il mangiare e il bere consueti e non cultuali debbano essere fatti a casa. […] Però l’argomento di Paolo è che, se i ricchi desiderano mangiare e bere per conto loro, gustando del cibo migliore rispetto ai propri fratelli più poveri, dovrebbero farlo a casa; se non riescono ad aspettare gli altri (v. 33), se devono indulgere all’eccesso, possono almeno evitare che il pasto comune della chiesa sia soggetto a pratiche che non fanno altro che screditarla. […] Paolo intende dire semplicemente che, quanti sono così affamati da non riuscire ad aspettare i propri fratelli, dovrebbero soddisfare la propria fame prima di andarsene di casa, affinché nell’assemblea prevalgano la decenza e l’ordine” . Tenete a mente che Paolo scrisse alla chiesa corinzia una ventina d’anni dopo che Gesù aveva trasformato la Sua Ultima Cena nella nostra Cena del Signore. Così come l’Ultima Cena fu un pasto completo, così anche i Corinzi intendevano la Cena del Signore come un pasto reale.

Inoltre, la parola tradotta “cena” (1 Cor 11:20) è déipnon, la quale significa “cena, il pasto principale verso sera, banchetto”. Probabilmente, essa non si riferisce mai a qualcosa di meno di un pasto completo come un aperitivo, uno spuntino o un antipasto. Come sarebbe stato possibile che gli autori del Nuovo Testamento usassero déipnon per riferirsi alla “Cena” del Signore se non avessero creduto che fosse un pasto completo? In origine, la Cena del Signore conteneva numerosi aspetti profetici. Essendo un pasto completo, prefigurava il banchetto del regno futuro: il banchetto delle nozze dell’Agnello.

L’opinione della maggioranza dei biblisti pende chiaramente verso la conclusione che la Cena del Signore era consumata, in origine, come un pasto completo. Ad esempio, Donald Guthrie, lo studioso inglese del Nuovo Testamento, ha affermato che l’apostolo Paolo “pone la Cena del Signore nel contesto del pasto di comunione” .

Gordon Fee, professore emerito del Regent College, ha fatto notare “il fenomeno quasi universale, nell’antichità, dei pasti cultuali come parte del culto” e “il fatto che nella chiesa primitiva la Cena del Signore era consumata molto probabilmente come un pasto del genere o unitamente a esso”. Fee ha messo in rilievo, poi, che “sin dall’inizio, l’Ultima Cena era per i cristiani non una Pasqua cristiana annuale, ma un pasto ripetuto regolarmente in ‘onore del Signore’, da cui la Cena del Signore” .

G.W. Grogan, preside del Bible Training Institute di Glasgow, scrivendo per il New Bible Dictionary ha osservato che “il racconto di S. Paolo (in 1 Cor 11:17-37) sull’amministrazione dell’Eucaristia la inserisce nel contesto di una cena di comunione. […] La separazione del pasto o agape dall’Eucaristia non appartiene ai tempi del NT” .

Nel suo commentario a 1 Corinzi, C.K. Barrett ha osservato che “a Corinto, anziché essere un pasto puramente simbolico, la Cena del Signore era ancora un pasto normale cui erano legate azioni di valore simbolico” .

Williston Walker, professore di storia ecclesiastica a Yale, ha osservato che “i culti erano tenuti di domenica, e probabilmente in altri giorni. Dai tempi degli Apostoli, questi constavano di due tipi: riunioni per leggere le Scritture, predicare, cantare e pregare, e un pasto serale in comune cui era congiunta la cena del Signore” .

Il dr. John Gooch, direttore della United Methodist Publishing House di Nashville, in Tennessee, ha scritto: “Nel I sec., la Cena del Signore comprendeva non solo il pane e il calice, ma un intero pasto” .

 

LE SUE FUNZIONI: 1) RICORDARE A GESÙ

Prendere il pane e bere il calice come parte integrale del pasto erano azioni che servivano, originariamente, a parecchie funzioni importanti. Una di queste era di ricordare a Gesù la Sua promessa di ritornare. Ricordare a Dio le Sue promesse legate al patto è un concetto completamente scritturale. Nel patto che fece con Noè, Dio promise di non distruggere mai più la terra con il diluvio, lasciando il simbolo dell’arcobaleno. Quel segno è certamente destinato a ricordare a noi la promessa di Dio, ma Egli ha anche dichiarato: “L’arco dunque sarà nelle nuvole e io lo guarderò per ricordarmi del patto perpetuo fra Dio e ogni essere vivente, di qualunque specie che è sulla terra” (Gn 9:16, mio il corsivo ).

Andando avanti nella storia della redenzione, come parte del Suo patto con Abraamo, Dio promise di liberare gli Iraeliti dalla loro futura schiavitù egiziana. Di conseguenza, nel tempo prefissato, “Dio udì i loro gemiti. Dio si ricordò del suo patto con Abraamo, con Isacco e con Giacobbe. Dio vide i figli d’Israele e ne ebbe compassione” (Es 2:24-25, mio il corsivo).

Durante la cattività babilonese, Ezechiele riporta che Dio promise a Gerusalemme: “Tuttavia mi ricorderò del patto che feci con te” (Ez 16:60, mio il corsivo).

La Cena del Signore è il segno di un nuovo patto. Mentre prendeva il calice, Gesù disse: “Questo è il mio sangue, il sangue del patto, il quale è sparso per molti per il perdono dei peccati” (Mt 26:28). Come per qualunque segno pattizio, esso serve a ricordare le promesse del patto. Per questo Gesù disse che noi dobbiamo prendere il pane “in memoria di [lui]” (Lc 22:19). Il termine greco tradotto “memoria” è anámn?sis e significa “ricordo”. Traducendo letteralmente, Gesù disse: “Fate questo per il Mio ricordo”.

Sorge quindi il problema se tale ricordo sia primariamente a beneficio di Gesù o nostro. Il teologo tedesco Joachim Jeremias si rese conto che Gesù usò anámn?sis nel senso di un ricordo per Dio: “La Cena del Signore sarebbe, pertanto, una preghiera rappresentata” . Ne Le parole dell’ultima cena, si sostiene che il greco implicito nella parola “finché” (1 Cor 11:26, achri hou) non sia semplicemente un riferimento temporale, ma che funzioni come una specie di proposizione finale. Vale a dire che la funzione del pasto sarebbe un ricordo costante a Dio di adempiere la parusia .

Le parole “di me” in Luca 22:19 sono tradotte dalla singola parola greca emên, che grammaticalmente denota possesso (suggerendo che il ricordo spetta, effettivamente, a Gesù). Più che un semplice pronome personale, si tratta di un pronome possessivo. Pertanto, la chiesa deve prendere il pane della Cena del Signore appositamente per ricordare a Gesù la Sua promessa di ritornare e consumare nuovamente la Cena con noi, di persona (Lc 22:16, 18). Compresa in questa luce, la Cena ha lo scopo di essere una sorta di preghiera in cui si chiede a Gesù di ritornare (“Venga il tuo regno” [Lc 11:2]). Così come l’arcobaleno ricorda a Dio il Suo patto con Noè, proprio come i gemiti ricordarono a Dio del Suo patto con Abraamo, così anche prendere il pane della Cena del Signore ha come scopo di ricordare a Gesù la Sua promessa di ritornare.

In 1 Corinzi 11:26, Paolo conferma questa idea affermando che la chiesa primitiva, consumando la Cena del Signore, annunciava davvero “la morte del Signore, finché egli venga”. A chi era annunciata la Sua morte, e perché? Probabilmente, i primi cristiani l’annunciavano al Signore stesso come ricordo, per Lui, di ritornare. È significativo che l’espressione greca tradotta “finché” sia achri hou. Così com’è impiegata qui, essa denota grammaticalmente uno scopo o un obiettivo . Secondo l’utilizzo che se ne fa in italiano, ci si può servire di un ombrello “finché” non smetta di piovere, indicando così semplicemente una cornice temporale (usare l’ombrello non ha niente a che fare con il far smettere di piovere). Tuttavia, questo non è il modo in cui è impiegata l’espressione greca resa con “finché” in 1 Corinzi 11:26. Invece, Paolo stava insegnando alla chiesa a prendere il pane e a bere il calice come mezzo per annunciare la morte del Signore (come un ricordo), con lo scopo di (“affinché”) persuaderLo a ritornare! Perciò, annunciando la Sua morte mediante il pane e il calice, con la Cena si preannunciava e si pregustava il Suo ritorno.

Questo concetto di cercare di persuadere il Signore a tornare non è diverso dalla solenne richiesta dei martiri in Apocalisse 6, i quali gridavano a gran voce: “Fino a quando aspetterai, o Signore santo e veritiero, per fare giustizia e vendicare il nostro sangue su quelli che abitano sopra la terra?” (Ap 6:10). E che cosa aveva in mente Pietro quando scrisse che i suoi lettori avrebbero dovuto attendere il giorno di Dio e “affrettare la [Sua] venuta” (2 Pt 3:12)? Se fosse inutile cercare di persuadere Gesù a tornare, allora perché Egli ci ha insegnato a pregare: “Venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà” (Mt 6:10)? È interessante che i primissimi credenti (Didaché 10,6) usassero “Marana tha” (“nostro Signore, vieni”) come preghiera collegata alla Cena del Signore, in “un contesto contemporaneamente eucaristico ed escatologico” . Relativamente all’impiego dell’espressione “Marana tha” di 1 Corinzi 16:22, scrive il dr. R.P. Martin: “Il ‘Marana tha’ di 1 Cor 16:22 potrebbe essere benissimo posto in un ambiente eucaristico, visto che la conclusione della lettera termina con l’invocazione ‘nostro Signore, vieni!’ e prepara la scena alla celebrazione del pasto, dopo che la lettera è stata letta alla congregazione” .

 

LE SUE FUNZIONI: 2) CREARE UNITÀ

Tutta quest’enfasi sulla Cena come pasto effettivo non è per dire che dovremmo disfarci del pane e del calice, che rappresentano il corpo e il sangue del Signore. Al contrario, questi restano una parte vitale della Cena (1 Cor 11:23-26). Il pane e il vino fungono da rappresentazioni del corpo e del sangue di nostro Signore. La Sua morte propiziatrice sulla croce è il fondamento stesso della Cena del Signore.

Così com’è importante la forma della Cena del Signore (un pasto completo di comunione che prefigura il banchetto delle nozze dell’Agnello), così è anche importante la forma del pane e del calice. Nella Scrittura si menziona il calice della benedizione (al singolare) e l’unico pane: “Siccome vi è un unico pane, noi, che siamo molti, siamo un corpo unico, perché partecipiamo tutti a quell’unico pane” (1 Cor 10:16-17). L’unico pane non raffigura soltanto la nostra unità in Cristo, ma, secondo 1 Corinzi 10:17, crea anche unità! Notate attentamente la formulazione del testo ispirato: “siccome” vi è un unico pane, noi siamo perciò un unico corpo, “perché” partecipiamo tutti a quell’unico pane (1 Cor 10:17). Condividere un mucchio di cracker sbriciolati e molteplici bicchierini di vino è un’immagine di disunione, divisione e individualità. Il meno che si possa dire è che è tutto tranne l’immagine dell’unità. Quel ch’è peggio è che ciò non consente al Signore di usare quell’unico pane per creare unità in un corpo di credenti.

Alcuni Corinzi erano colpevoli di partecipare alla Cena del Signore “in modo indegno” (1 Cor 11:27, CEI). I ricchi rifiutavano di consumare la Cena con i poveri. Pertanto, i ricchi arrivavano così presto dove ci si riuniva che quando, più tardi, vi giungevano anche i poveri, alcuni ricchi si erano ubriacati e tutto il cibo era già stato consumato. I poveri se ne tornavano a casa affamati. Queste vergognose distinzioni di classe colpivano al cuore l’unità che la Cena del Signore aveva lo scopo di realizzare. Gli abusi corinzi erano talmente gravi che non si trattava più della Cena del Signore e, invece, era diventata la “propria” cena (1 Cor 11:21). Questo mancato riconoscimento da parte dei ricchi del corpo del Signore nei loro fratelli più poveri sfociò nel giudizio divino: molti di loro erano ammalati, e parecchi erano perfino morti (1 Cor 11:27-32). Quale fu la soluzione di Paolo a tali riunioni nocive? “Dunque, fratelli miei, quando vi riunite per mangiare, aspettatevi gli uni gli altri” (1 Cor 11:33). A chiunque fosse così affamato da non riuscire ad aspettare, era stato insegnato: “mangi a casa” (1 Cor 11:34). Una parte del motivo per cui i Corinzi non erano uniti è precisamente perché essi non consumavano insieme la Cena del Signore come un pasto completo, incentrato attorno a un solo calice e a un unico pane.

 

LE SUE FUNZIONI: 3) LA COMUNIONE

Rivolgendosi alla chiesa di Laodicea, il nostro Signore risorto propone di entrare e cenare (deipne?) con chiunque ascolti la Sua voce e apra la porta, un’immagine questa di fratellanza e comunione (Ap 3:20). L’idea che la comunione e l’accettazione siano riassunte dal mangiare insieme derivava non solo dalla cultura ebraica dei tempi di Gesù, ma anche dalle più antiche Scritture ebraiche. Esodo 18:12 rivela che Ietro, Mosè, Aaronne e tutti gli anziani d’Israele vennero a mangiare alla presenza di Dio. Un mangiare più divino si verificò quando fu inaugurato il patto sul Sinai, quando Mosè, Aaronne, Nadab, Abiu e i settanta anziani d’Israele salirono sul monte Sinai e “videro Dio, e mangiarono e bevvero” (Es 24:9-11). È significativo che Dio “non stese la sua mano contro quegli eletti dei figli d’Israele” (Es 24:11a). Costoro furono accettati da Lui, come dimostra il pasto sacro che essi consumarono alla Sua presenza.

Questo tema della “comunione nel banchettare” continua nel libro degli Atti, dove apprendiamo che la chiesa primitiva era perseverante nella “comunione nel rompere il pane” (2:42, trad. lett.). In molte traduzioni, in Atti 2:42 c’è una “e” sia fra “insegnamento” e “comunione”, sia fra “pane” e “preghiere”, ma non fra “comunione” e “pane”. Nel greco, le parole “comunione” e “rompere il pane” sono collegate come attività simultanee. Essi avevano comunione fra loro mentre rompevano assieme il pane. Inoltre, Luca ci informa che questo prendere il cibo insieme era fatto con “con gioia e semplicità di cuore” (2:46). Suona invitante, no?

Molti commentari associano l’espressione “rompere il pane” — che si trova in tutto il libro degli Atti — alla Cena del Signore. Questo perché Luca, che scrisse gli Atti, riportò nel suo Vangelo che Gesù prese il pane e “lo ruppe” nell’Ultima Cena (Lc 22:19). Se questa conclusione è esatta, allora la chiesa primitiva gustava la Cena del Signore, perché si trattava di un momento di comunione e gioia, proprio come si gusterebbe un banchetto di nozze. Era anche opinione di F.F. Bruce che, in Atti 2, la comunione goduta fosse espressa praticamente dal rompere il pane. Bruce ha sostenuto, inoltre, che l’espressione “rompere il pane” indichi “qualcosa di più della consueta condivisione del cibo in comune: viene segnalata indubbiamente l’osservanza regolare della Cena del Signore. […] Sembra che questa osservanza facesse parte del pasto consueto” .

Al contrario, molte chiese moderne svolgono la Cena del Signore in un’atmosfera piuttosto funebre. Un organo suona sommessamente della musica mesta. Ogni capo è chino, ogni occhio è chiuso, mentre le persone fanno l’esame di coscienza in silenziosa introspezione alla ricerca di un peccato non confessato. Il calice e il pane sono posti su un tavolino, coperti da un candido velo, quasi come un cadavere durante un funerale. I diaconi, tetri come becchini, distribuiscono gli elementi. Ma questo è davvero in armonia con la tradizione degli apostoli relativa alla Cena? Ricordate che fu il “modo indegno” a essere criticato da Paolo (1 Cor 11:27, CEI), non le “persone indegne”. Quel modo indegno consisteva nell’ubriachezza alla mensa del Signore, nel non mangiare insieme, e nel fatto che i poveri se ne tornavano a casa affamati e umiliati. Certo, ogni persona dovrebbe esaminarsi prima di arrivare a tavola, per essere certa di non essere colpevole dello stesso peccato inammissibile di cui erano colpevoli i Corinzi: il mancato riconoscimento del corpo del Signore nei loro fratelli credenti (1 Cor 11:28-29). Una volta che ci siamo esaminati, possiamo metterci a tavola senza il timore del giudizio e godere della comunione della Cena del Signore per quello che dovrebbe essere: un vero banchetto di nozze.

 

LA SUA FREQUENZA: SETTIMANALMENTE

Con quale frequenza la chiesa del Nuovo Testamento condivideva la Cena? I primi credenti consumavano la Cena del Signore settimanalmente, e questo era lo scopo principale per cui si riunivano in ogni Giorno del Signore.

La prima prova di questo è grammaticale. Il termine tecnico, “Giorno del Signore”, deriva da un’espressione unica nel greco, kyriak? h?méra, che significa letteralmente: “Il giorno che appartiene al Signore”. Le parole “che appartiene al Signore” traducono kyriakón, che ricorre nel Nuovo Testamento solo in Apocalisse 1:10 e in 1 Corinzi 11:20, dove Paolo lo impiega per riferirsi alla “Cena del Signore”, ovvero alla “Cena che appartiene al Signore” (kyriakón déipnon). Non deve sfuggire il collegamento fra questi due impieghi! Se lo scopo della riunione ecclesiale settimanale è di osservare la Cena del Signore, ha senso soltanto che questa cena che appartiene al Signore sia consumata nel giorno che Gli appartiene (il primo giorno della settimana). È evidente che la rivelazione di Giovanni (Ap 1:10) sia avvenuta, perciò, nel primo giorno della settimana, nel giorno in cui Gesù risuscitò dai morti e nel giorno in cui la chiesa primitiva s’incontrava per consumare la Cena che appartiene al Signore. La risurrezione, il giorno e la cena vanno insieme come un “tutto compreso”!

Secondo, l’unico motivo mai fornito nel Nuovo Testamento come scopo regolare di una riunione ecclesiale è di consumare la Cena del Signore. In Atti 20:7, Luca ci dà la seguente informazione: “Il primo giorno della settimana, mentre eravamo riuniti per spezzare il pane”. Le parole “per spezzare il pane” di At 20:7 riflettono quello che è conosciuto come un “infinito telico”, il quale denota uno scopo o un obiettivo. Erano riunioni conviviali!

Un altro punto del Nuovo Testamento dove viene affermato lo scopo di una riunione ecclesiale si trova in 1 Corinzi 11:17-22. Il loro “radunarsi” (cfr. 11:17) stava facendo più male che bene perché, quando “[si riunivano] in assemblea” (11:18a), essi avevano divisioni così profonde che Paolo scrisse: “Quando poi vi riunite insieme, quello che fate, non è mangiare la cena del Signore” (11:20). Da questo risulta ovvio che il motivo principale delle loro riunioni ecclesiali era di consumare la Cena del Signore. Purtroppo, i loro abusi riguardo alla Cena erano così gravi che questa aveva smesso di essere la Cena del Signore, benché, ufficialmente, essi si stessero riunendo ogni settimana per celebrare la Cena.

Il terzo e ultimo punto in cui vi sia un riferimento al motivo di un’assemblea si trova in 1 Corinzi 11:33: “Quando vi riunite per mangiare, aspettatevi gli uni gli altri”. Come prima, questo mostra che il motivo per cui essi si riunivano era quello di “mangiare”. Affinché nessuno pensi che stiamo facendo d’una mosca un elefante, bisogna tener presente che, nelle Scritture, non viene mai fornito alcun altro motivo come scopo di una riunione ecclesiale regolare.

La comunione e l’incoraggiamento di cui gode ogni membro in una riunione del genere sono straordinari. La Cena del Signore è l’equivalente cristiano dell’incontro presso il locale pubblico del quartiere. È come quando gli amici si incontrano al bar o in pizzeria. È un momento che Dio usa per creare unità in un corpo di credenti. Questo aspetto della riunione ecclesiale non dovrebbe essere affrettato o sostituito. Certamente è appropriato avere anche una “fase di 1 Corinzi” della riunione (un periodo partecipato di insegnamento, adorazione, canto, testimonianza, preghiera, ecc.), ma non a scapito della Cena del Signore settimanale.

 

CONSIDERAZIONI PRATICHE

Oggi, praticare la Cena del Signore come un pasto completo può essere un mezzo di grande benedizione per la chiesa. Ecco alcune considerazioni pratiche per poterla realizzare.

La mentalità. Assicuratevi che la chiesa comprenda che la Cena del Signore è lo scopo principale della riunione settimanale. Non è né facoltativa né secondaria a qualunque tipo di “culto di adorazione”. Anche se tutto quello che fa una chiesa in una data domenica fosse solo di celebrare la Cena del Signore, essa avrebbe realizzato uno dei motivi principali per cui avere una riunione in quella settimana.

Il cibo. Se per caso è possibile, fate in modo che la preparazione del cibo sia ripartita e proponetevi di bere qualunque bevanda venga portata. Questo rende molto più semplice l’amministrazione del cibo. Confidate nella sovranità di Dio! Decidere in anticipo il cibo può sopprimere il lato divertente della cosa e trasformarla in un peso. L’unica cosa che dovrebbe essere programmata in anticipo è chi porterà l’unico pane e il frutto della vite. (Nella nostra chiesa, è sempre la famiglia che ospita l’incontro a provvedere queste cose).

Il dare. Poiché la celebrazione del pasto è un modello neotestamentario e qualcosa d’importante per la vita di una chiesa che funzioni correttamente, il tempo e i soldi spesi da ogni singola famiglia per il cibo da portare rientra davvero in quello che essa dà al Signore. Anziché mettere semplicemente un’offerta in un cestino ogni settimana, andate al negozio di generi alimentari a comprare il miglior cibo che possiate permettervi, e portatelo alla Cena come un’offerta sacrificale!

Le pulizie. Per facilitare le pulizie, dovreste considerare di usare piatti di carta e tovagliolini insieme a forchette e bicchieri di plastica. Inoltre, visto che a volte si buttano involontariamente le proprie posate insieme al resto dei rifiuti, è meglio buttare accidentalmente una forchetta di plastica anziché una di metallo! Per evitare che si rovescino i piatti, la famiglia ospitante potrebbe fornire dei sottopiatti in plastica, i quali possono essere riutilizzati e solitamente non hanno bisogno di essere lavati.

L’organizzazione. Quando fa caldo, potrebbe essere appropriato mangiare fuori. È inevitabile che cada del cibo e si versino le bevande, così ripulire tutto sarà molto più semplice. Un grande tavolo pieghevole potrà essere sistemato dove necessario e messo da parte dopo la riunione. Quando fa freddo ed è indispensabile mangiare in casa, considerate di ricoprire qualunque pezzo di arredamento di un certo valore con un foglio di plastica e poi con della stoffa. Poiché i bambini creano la maggior parte della confusione, riservate qualunque posto disponibile a un tavolo per loro e insistete che lo usino!

Un calice e un pane. Alcuni si sono resi conto che prendere il calice e il pane prima del pasto separa troppo quel gesto dal pasto stesso, come se si trattasse di un atto separato. È come se la Cena del Signore fosse il calice e il pane, e che tutto il resto sia semplicemente un pranzo. Per superare questa falsa dicotomia, cercate di mettere il calice e il pane sul tavolo insieme al resto del cibo della Cena del Signore. Il calice e il pane possono essere messi in evidenza prima della riunione e menzionati nella preghiera prima del pasto, ma poi metteteli sul tavolo insieme a tutto il resto del cibo. In questo modo, i credenti potranno prenderli mentre si serviranno da soli.

Il pane dovrebbe essere azzimo e il frutto della vite alcolico? Gli Ebrei mangiavano pane azzimo in occasione della cena pasquale per simboleggiare la rapidità con cui Dio li aveva liberati dall’Egitto. Gesù usò del pane azzimo nell’Ultima Cena originaria. Però non viene mai detto nel Nuovo Testamento che le chiese dei Gentili usassero pane azzimo nella Cena del Signore. Sebbene, talvolta, nel Nuovo Testamento il lievito sia associato al male (1 Cor 5:6-8), esso è anche utilizzato per rappresentare il regno di Dio (Mt 13:33)! Come si vede, c’è libertà a riguardo. Rispetto al vino, è chiaro da 1 Corinzi 11 che nella Cena del Signore era usato il vino, visto che alcuni si ubriacavano. Non è mai fornita alcuna motivazione teologica chiara nella Scrittura, però, per l’impiego del vino (ma considerate Gn 27:28; Is 25:6-9 e Rm 14:21). Come per il pane azzimo, sembra che vi sia libertà a riguardo e che la decisione spetti a ogni singola chiesa.

I non credenti. Ai non credenti dovrebbe essere permesso di partecipare alla Cena del Signore? La Cena del Signore, essendo un pasto sacro legato al patto, ha senso solo per i credenti. Per i non credenti, si tratta semplicemente di cibo per la pancia. Da 1 Corinzi 14:23-25 si evince che dei non credenti parteciperanno di tanto in tanto alle riunioni ecclesiali. Ai non credenti viene appetito esattamente come ai credenti, così invitate anche loro a mangiare. Fateli innamorare di Gesù! Il pericolo di prendere la Cena del Signore in modo indegno si applica solo ai credenti (1 Cor 11:27-32).

Riguardo al calice e all’unico pane, se un bambino non credente desidera bere il succo d’uva solo perché gli piace, va bene. Però, se i genitori lo danno di proposito a un figlio non credente come atto religioso, allora potrebbe trattarsi di una violazione di tutto ciò che significa la Cena del Signore. Sarebbe strettamente affine al concetto del “battesimo dei bambini”.

Il clero ordinato. Alcuni credono che solo un ministro ordinato possa ufficiare alla mensa del Signore. Però il Nuovo Testamento non presenta un tale requisito.

 

CONCLUSIONE

Ora, dopo aver debitamente dimostrato qual è la forma neotestamentaria della Cena, la domanda successiva che affrontano i credenti di oggi riguarda l’intenzione di nostro Signore per le chiese moderne. Gesù desidera che il Suo popolo celebri la Cena del Signore nello stesso modo in cui essa veniva consumata nel Nuovo Testamento? Oppure, per Lui, ciò potrebbe essere indifferente? Abbiamo la libertà di deviare dalla forma originaria della Cena come vero banchetto? Certamente no. Perché mai ci si dovrebbe allontanare volontariamente dal modo in cui Cristo e i Suoi apostoli praticavano la Cena del Signore? Gli apostoli erano indubbiamente contenti quando le chiese osservavano le loro tradizioni (1 Cor 11:2), e comandavano anche che lo facessero (2 Ts 2:15). Noi non abbiamo alcuna autorizzazione a deviare dalla forma originaria.

In àmbito accademico, a prescindere dalla denominazione, si è generalmente concordi nel riconoscere che la chiesa primitiva celebrava la Cena del Signore come un pasto completo. Qualunque controversia sorge quando si viene invitati a tornare all’esempio neotestamentario. In alcuni momenti storici, e per un certo periodo di tempo, la chiesa ha deviato dal modello neotestamentario. Ad esempio, per ben più di un millennio, il battesimo per immersione dei credenti era praticamente sconosciuto all’interno della cristianità. Eppure, a partire dal periodo della Riforma, questa tradizione apostolica, trascurata per lungo tempo, è nuovamente attecchita e, adesso, è ampiamente praticata. Similmente, le chiese carismatiche e pentecostali direbbero che molti dei doni dello Spirito sono stati trascurati per quasi duemila anni, fino al risveglio di Azusa Street. Noi crediamo che la chiesa si perda una straordinaria benedizione nel trascurare la pratica della chiesa primitiva relativa alla Cena del Signore.

Per riassumere, la Cena del Signore è lo scopo principale per cui la chiesa deve radunarsi in ogni Giorno del Signore. Consumata come un pasto completo, la cena simboleggia il banchetto delle nozze dell’Agnello e, pertanto, ha un valore profetico. Dev’essere consumata come un banchetto, in un’atmosfera gioiosa, matrimoniale anziché tetra e funebre. Uno dei principali benefici della Cena come banchetto è la comunione e l’incoraggiamento sperimentati da ogni membro. Nel contesto di questo pasto completo, devono esserci un solo calice e un unico pane condivisi da tutti. Dev’essere utilizzato un unico pane non solo per simboleggiare l’unità di un corpo di credenti, ma anche perché Dio lo userà per creare unità al suo interno. Gli elementi simboleggiano anche il corpo e il sangue di Gesù e servono a ricordarGli la Sua promessa di tornare a banchettare di nuovo con la Sua chiesa. Amen! Vieni presto, Signore Gesù!

— Steve Atkerson

Aggiornamento: 22/05/’07

(trad. Antonio Morlino)

11/06/’07

NOTE

  1. Negli Stati Uniti, molti credenti non mandano i propri figli alle scuole pubbliche, ma li educano a casa impartendo loro personalmente l’istruzione o servendosi di insegnanti esterni, seguendo però precisi programmi ministeriali (N.d.T.).
  2. FRITZ REINECKER – ILEON ROGERS, Linguistic Key to the Greek New Testament, Grand Rapids, Zondervan, 1980, p. 207.
  3. R.P. MARTIN, The Lord’s Supper, in The New Bible Dictionary, a cura di J.D. DOUGLAS, Wheaton, Tyndale House Publishers, 1982, p. 709.
  4. FREDERICK GODET, Commentary on Luke, Grand Rapids, Kregel Publications, 1981, p. 314.
  5. C.K. BARRETT, The First Epistle to The Corinthians, in The Black’s New Testament Commentary, Peabody, Hendrickson Publishers, 1968, pp. 263, 277.
  6. DONALD GUTHRIE, New Testament Theology, Downers Grove, Inter-Varsity Press, 1981, p. 758.
  7. GORDON FEE, The First Epistle to The Corinthians, in The New International Commentary on the New Testament, Grand Rapids, Wm. B. Eerdmans Publishing Co., 1987, pp. 532, 555.
  8. G.W. GROGAN, Love Feast, in The New Bible Dictionary, a cura di J.D. DOUGLAS, Wheaton, Tyndale House Pub¬lishers, 1982, p. 712.
  9. C.K. BARRETT, The First Epistle to The Corinthians, cit., p. 276.
  10. WILLISTON WALKER, A History of The Christian Church, New York, Charles Scribner’s Sons, 19703, p. 38.
  11. JOHN GOOCH, Christian History & Biography, in «Christianity Today», n. 37, p. 3.
  12. COLIN BROWN, New International Dictionary of New Testament Theology, vol. III, Grand Rapids, Zondervan, 1981, p. 244.
  13. JOACHIM JEREMIAS, The Eucharistic Words of Jesus, New York, Charles Scribner’s Sons, 1966, pp. 252-254 (orig. ted., Die Abendmahlsworte Jesu, Göttingen, Vandenhoek & Reprecht, 1935; trad. it., Le parole dell’ultima cena, Biblioteca di cultura religiosa 23, Brescia, Paideia, 1973).
  14. F. REINECKER, Linguistic Key to the Greek New Testament, cit., p. 34.
  15. C.K. BARRETT, The First Epistle to The Corinthians, cit., p. 397.
  16. R.P. MARTIN, The Lord’s Supper, cit., p. 709.
  17. F.F. BRUCE, Acts of The Apostles, Grand Rapids, Wm. B. Eerdmans Publishing Co., 1981, p. 79.