- Le Basi del Matrimonio
Vi sono molti patti nella Bibbia. In questo studio vogliamo parlare del patto del matrimonio. Il luogo migliore per iniziare qualcosa è spesso l’inizio. Inizieremo quindi in Genesi 1-2, per vedere cosa Dio ha da dire sulle relazioni familiari. Ecco un semplice riassunto, facile da memorizzare, di quello che la Bibbia insegna a riguardo:
I mariti amano, le mogli si sottomettono, i figli obbediscono.
Riassumere e memorizzare questi principi è facile, ma viverli e metterli in pratica è molto più difficile.
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Domanda: cosa vide Dio quando fece la luce (Gen. 1:10), la vegetazione (1:12), il sole e la luna come governatori del giorno e della notte (1:18), le creature del mare e gli uccelli (1:21), le bestie dei campi e il bestiame (1:25), e quando poi guardò a tutto quello che aveva fatto (1:31)? Egli vide che il tutto era non semplicemente buono, ma molto buono! Genesi: 2:18: Da questo verso in poi, però, vediamo che all’improvviso viene fuori qualcosa che non era buono: non era buono che l’uomo fosse solo. E’ incredibile pensare al fatto che benché Adamo aveva perfetta comunione con Dio, non interrotta dal peccato (cf. 1:26, 28; 2:15), questo in qualche modo non era abbastanza. Mancava qualcosa. Adamo aveva bisogno di qualcos’altro. Non era buono che Adamo fosse solo in Paradiso! Come è possibile?
Motivo n.1: Tim Keller, nel suo libro “The Meaning of Marriage”, suggerisce che il motivo è dovuto alla natura triuna di Dio (evidenziata dalle parole “noi/nostra”, 1:26). All’interno della Trinità vi è perfetta comunione. Dio creò l’uomo a Sua immagine, che vuol dire, tra le altre cose, con la capacità di avere relazioni con altre persone umane. Adamo viveva in Paradiso, e tuttavia gli mancava qualcosa. Aveva bisogno di un’altra persona umana con cui essere in relazione. Keller ci dice che questo ci mostra che i possedimenti materiali non possono rendere una persona felice … Le relazioni personali, e specialmente quelle familiari, sono una benedizione più grande e danno maggiore soddisfazione di qualsiasi cosa che i soldi possano comprare. Cf. Luca 12:15.
Motivo n. 2: Leggi attentamente Gen. 2:18; cosa ha prescritto Dio come rimedio alla solitudine dell’uomo? Egli aveva bisogno di un aiuto, ma un aiuto per fare cosa? Lo vedremo tra poco. Ma in generale, cos’è un aiuto? Un aiuto è una persona che fornisce assistenza o supporto. La parola ebraica è ezer, come in Ebenezer (pietra di aiuto). Significa “assistente”. E’ importante notare che un assistente non è necessariamente inferiore o meno qualificato di chi assiste. In molti luoghi nella Bibbia la parola ezer (aiuto) è usata per riferirsi a Dio Stesso! Leggi Sal. 30:10; 121:1-2. Un aiuto non è un ruolo dispregiativo. L’aiuto che Dio stava per creare non aveva uno status inferiore.
Ma per cosa aveva bisogno di aiuto Adamo? Qual era il suo mandato in Gen. 2:15? Dio pose l’uomo nel giardino per lavorarlo e custodirlo. Questo compito gli fu dato prima che il peccato entrò nel mondo. Il lavoro non è un risultato della Caduta, e non è un risultato della maledizione. Certo, la maledizione rese il lavoro più faticoso e frustrante, e a volte inutile, ma in generale il lavoro non è il risultato della Caduta. Questo significa che nel nuovo mondo probabilmente non staremo a non far niente e a guardarci attorno seduti su una nuvola a suonare un’arpa per tutta l’eternità. Il lavoro è una cosa nobile, onorevole, ed è una chiamta divina. La parola vocazione significa “chiamata”. Leggi Colossesi 3:23-24.
Quindi Adamo aveva bisogno di un aiuto per svolgere la sua vocazione, la sua chiamata. Ma di che tipo di aiuto aveva bisogno? Cosa intendeva dire Dio quando disse che egli aveva bisogno di un aiuto “adatto a lui” (2:18)? Questa espressione viene dalla parola ebraica neged, che significa letteralmente “che corrisponde a”. Quindi si potrebbe tradurre così: “un aiuto che corrisponde a lui”. Un aiuto che in qualche modo gli corrispondesse. Questa parola tradotta “adatto” (neged) trasmette l’idea di una controparte opposta (Holladay, 226). Sono “come opposti”. Adamo ed il suo aiuto sarrebbero stati opposti e tuttavia corrispondenti: sarebbero stati adatti l’uno all’altra. Sarebbero stati la stessa cosa, ma diversi. Come due pezzi di un puzzle che corrispondono per creare una cosa altra e complessa (Keller, 174). Qualcuno ha detto: “Una donna è infinitamente superiore all’uomo ad essere donna, ed un uomo è infinitamente superiore ad una donna ad essere un uomo” (Rogers, 181).
Motivo n. 3: Per moltiplicarsi. Dio aveva dato ad Adamo un altro mandato: riempire la terra, portare frutto e moltiplicarsi. Nemmeno quello poteva fare da solo (1:28). Leggi Salmo 127:3-5: alcuni dicono che i figli rendono un ricco povero, ma è il contrario: essi rendono un povero ricco! Il mandato ricevuto da Adamo era riempire la terra di altre immagini di Dio come lui. Estendendo così il dominio di Dio attraverso l’uomo, Sua immagine e vice, su tutta la Sua creazione.
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Genesi 2:19-20: quale compito gigantesco vediamo che Dio diede ad Adamo? Quello di dare un nome a tutti gli animali. Perché Dio diede ad Adamo questo compito? Sicuramente perché voleva che Adamo nel fare quello realizzasse coscientemente che non vi era un aiuto adatto a lui. Ogni animale aveva il suo compagno, ma non Adamo. Questo compito di dare un nome agli animali portò quindi alla luce un bisogno. Ma vi era anche un altro motivo. Nella società ebraica, dare un nome a qualcuno o qualcosa significava descriverne e rifletterne il suo carattere. Dio cambiò il nome di Abramo (padre esaltato) in Abraaamo (padre di una moltitudine), e il nome di Giacobbe (ingannatore) in Israele (colui che combatte con Dio). Mentre moriva nel dare alla luce un figlio, Rachele chiamò suo figlio Ben-oni (figlio della mia tristezza), ma Giacobbe lo cambiò in Beniamino (figlio della mia destra). Gesù cambiò il nome di Simone (Dio ha udito) in Pietro (pietra). Dunque qualunque fosse il nome che Adamo avrebbe dato al suo aiuto, esso avrebbe indicato il suo carattere, la sua essenza. E inoltre, il diritto di dare un nome a qualcuno o qualcosa implica l’autorità di chi dà quel nome sulla cosa nominata. In Genesi 1:26 Dio aveva dato all’uomo il diritto di avere autorità sugli animali, e questo gli diede il diritto anche di nominarli.
Genesi 2:21-22: secondo questi versi, da dove provene la donna? L’origine della donna era diversa da quella di Adamo e degli animali. In Genesi 2:20 e 3:19 vediamo che Adamo e gli animali erano stati formati dalla terra, dal fango, dalla polvere. Non così per la donna: ella proviene da Adamo! Cosa indica questo? La donna fu fatta dalla costola dell’uomo, e questo indica che è come parte dell’uomo, fatta dall’uomo e per l’uomo, e che completa l’uomo. Leggi Genesi 1:27 e I Corinzi 11:8. La donna è fatta ad immagine di Dio, ma è la gloria dell’uomo perché è parte di lui. Come ha detto belllissimamente Matthew Henry: “la donna fu fatta da una costola del fianco di Adamo: non dalla sua testa per dominarlo, non dai suoi piedi per essere schiacciata da lui, ma dal suo fianco per essere la sua eguale, sotto il suo braccio per essere da lui protetta, e vicino al suo cuore per essere amata”.
Genesi 2:23: come reagì Adamo quando vide la sua costola trasformata? Egli la riconobbe in modo istantaneo e ne fu molto eccitato: la sua reazione fu, in pratica: “oh, questa … finalmente!” (2:23). Capì che ella era parte del suo corpo, e le diede un nome che era correlato al suo nome. Ecco come capire chi è la nostra “dolce metà”: al tempo giusto, Dio portò Eva nella vita di Adamo. Per noi oggi, il miglior modo di trovare la persona giusta è essere la persona giusta (Rogers, 182). Alcuni hanno da Dio il dono di rimanere single (I Cor. 7:7), ma la maggioranza non ha questo dono. Se leggiamo Efesini 5:28-29, vediamo che il passaggio applica Genesi 2:23 in un modo interessante. I mariti devono amare le proprie mogli come il loro proprio corpo. Chi ama la moglie ama se stesso. Nessuno ha mai odiato la sua propria carne, ma la nutre e cura teneramente. Il matrimonio è la più stretta delle relazioni umane: “ossa delle mie ossa, e carne della mia carne”: un’espressione usata qui da Adamo che viene anche usata altrove per parlare dei propri parenti secondo la carne.
Ma torniamo a Genesi 2:23: perché Adamo la chiamò “donna”? Perchè ella fu presa dal suo proprio corpo, ed egli le diede un nome preso dal suo proprio nome: in ebraico “uomo” è ish, e “donna” è ishsha. Questa è la base biblica per la pratica tradizionale del cambio di cognome che avviene quando una donna sposa un uomo e prende il suo cognome. I femministi rigettano questo, ed insistono a mantenere il cognome della donna (che ironicamente è anche un nome d’uomo, però quello del padre della donna!). Il fatto che Adamo diede un nome alla donna implica non soltanto la sua provenienza da lui, ma anche la sua autorità su di lei.
Ma cosa impariamo da I Corinzi 11:9-10 sulla base di Genesi 2? Che l’uomo non fu fatto dalla donna, ma la donna dall’uomo, nè fu l’uomo creato per la donna ma la donna per l’uomo. Uomini e donne hanno bisogno l’uno dell’altra, ma sono orientati l’uno all’altra in modo diverso. L’uomo ha bisogno dell’aiuto, la donna ha bisogno di aiutare. Adamo fu chiamato all’opera, e la donna fu chiamata ad aiutare Adamo in quell’opera. Lei doveva aiutare lui nel suo compito datogli da Dio prima che lei fu creata. Egli è orientato al compito, lei è orientata a lui (Wilson, 19).
Questo ci fa riflettere sulle vocazioni di entrambi: Dio definì l’uomo in base all’opera, al lavoro che doveva fare. La donna fu definita da Dio in base all’uomo che fu chiamata ad aiutare. Una vocazione è una chiamata. Adamo aveva la responsabilità per il lavoro e per sua moglie (Wilson, 30). Benché sia Adamo che Eva peccarono, l’intera colpa per la caduta ricadde su Adamo. Certo, secondo I Corinzi 11:12-13 uomo e donna non sono indipendenti l’uno dall’altra. Essi dipendono l’uno dall’altra. Eva venne da Adamo, ma ogni altro uomo venne da Eva. In Genesi 3:20 leggiamo del nome specifico che Adamo diede alla donna: Eva, che significa “vivente”, perché fu la madre di tutti i viventi. Inoltre furono entrambi creati ad immagine di Dio, benché con vocazioni e ruoli differenti.
Secondo Genesi 2:24, quale applicazione traiamo da tutto questo? Mosè ci insegnò a lasciare e a unire. “Unire” viene da dabaq, che significa “aggrapparsi, mantenersi stretto, incollare insieme”. Una relazione unica deve esistere tra marito e moglie, un legame perfino più stretto di quello con un genitore. Una volta sposati, la vostra relazione deve avere precedenza su quella coi vostri genitori. In che senso bisogna “lasciare” madre e padre? Nell’antichità un uomo sposato da poco non lasciava casa fisicamente perché si lavorava tutti insieme nella fattoria di famiglia di cui egli diveniva poi l’erede. Il significato quindi è uno di lealtà, priorità. A volte un marito deve proteggere, difendere sua moglie da sua madre. Alcune mogli devono tagliare il cordone ombelicale che le connette alle proprie madri. I genitori possono essere una fonte meravigliosa di saggi consigli, ma non sono più l’autorità nel matrimonio dei loro figli. In che senso bisogna “unire”? Il matrimonio è un’unione permanente, cioè per tutta la vita. Esso però ha responsabilità che non devono essere disattese: molti non fanno più attenzione alle proprie mogli, e smettono di trattarle come speciali; molte donne si lasciano andare, e negligono il loro aspetto o il loro marito. Non bisogna mai darsi per scontati!
Cosa ci insegna Gesù in Matteo 19:3-9 su Genesi 2:24? Leggete quei versi. Da essi impariamo che il divorzio è il solo gioco al mondo dove tutti possono soltanto perdere. Il divorzio è sempre il risultato del peccato. L’ideale di Dio è un uomo e una donna per tutta la vita, separati soltanto dalla morte fisica. Il divorzio non è mai stato parte del piano di Dio. Dio ci ha fatti diversi in modo da farci diventare uno (Rogers, 189). “A volte un matrimonio che inizia come un sogno diviene poi un disastro che conduce ad un rimpiazzo” (Rogers) ma molti studi rivelano che due terzi dei matrimoni infelici diverranno felici nel giro di cinque anni se si rimane nel matrimonio e non si divorzia (Keller, 26). Vi è speranza! Resistete e rimanete nel vostro matrimonio!
Ma che significa “una sola carne”, oltre all’ovvio significato fisico? L’unione fisica simbolizza la completa identificazione dell’uno con l’altra, nella comunione dei loro interessi e programmi che divengono uno (Leupold, 137). Cosa ci insegna Paolo in I Corinzi 6:15-16 (leggete i versi) in base a Genesi 2:24? Che “una sola carne” esclude qualsiasi rapporto extra-matrimoniale. C. S. Lewis ha detto “ogni volta che un uomo ed una donna entrano in una relazione sessuale viene stabilito tra loro un legame spirituale che deve essere goduto o sofferto per sempre”. John MacArthur (151) ha notato che il peccato sessuale distrugge le relazioni spirituali, sia umane che divine. Cos’altro Mosè aggiunge in Genesi 2:25? Che l’uomo e la donnna erano entrambi nudi e non ne avevano vergogna. Erano a loro agio e non avevano paura di essere sfruttati o maltrattati (BKC, 31). Essere conosciuti totalmente e anche così essere ancora amati è il goal del matrimonio (Rogers, 185).
à Cosa impariamo quindi da Genesi 2:18-25?
1) Adamo ed Eva servono come prototipi per il matrimonio per come inteso da Dio: un uomo ed una donna per la vita.
2) Essi devono relazionarsi l’uno all’altra in modi complementari specifici in base al modo in cui sono stati creati e designati da Dio nel principio in questa relazione: l’uomo ha bisogno di una compagnia e di un aiuto per svolgere il suo compito datogli da Dio, la donna di essere una compagna e di dare aiuto all’uomo nel suo compito.
3) Un altro proposito è quello di moltiplicarsi e popolare la terra, perché Dio sia glorificato in tutta la terra con la nascita e crescita di altre sue “immagini”.
4) Questo modello creato da Dio nel principio, inoltre, esclude categoricamente cose come l’adulterio, il divorzio, la poligamia e l’omosessualità.
à Cos’altro impariamo da altri passaggi biblici correlati a quello di Genesi 2:18-25?
1) Che il matrimonio è un modo che Dio ci dà per resistere la tentazione sessuale in un mondo immorale (I Cor. 7:2, 9).
2) Adamo fu creato prima e poi Eva, e questo indica che nel matrimonio vi è un capo e un’autorità, come ogni altra cosa in natura, e, come in natura, qualsiasi cosa senza capo è una cosa morta, e qualsiasi cosa con due capi è una cosa mostruosa (I Cor. 11:4, 9-10; Ef. 5:23).
3) Cosa ne ricava dal principio precedente I Timoteo 2:11-14? Che i ruoli che Dio ha designato per uomo e donna, ovvero di essere per l’uomo un servo-leader, e per una donna un servo-aiuto, devono essere rispettati non solo nella famiglia, ma anche riflettuti nella chiesa.
Bibliografia:
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Holladay, William, A Concise Hebrew and Aramaic Lexicon of the Old Testament (Grand Rapids: Eerdmans Publishing, 1971).
Keil and Delitzsch, Commentary on the Old Testament, Vol. 1 (Grand Rapids: Eerdmans Publishing, 1986).
Keller, Timothy, The Meaning of Marriage (New York: Dutton Group, 2011)
Leupold, HC, Exposition of Genesus (Grand Rapids: Baker Book House, 1942)
McArthur, Johh, The McArthur New Testament Commentary 1 Corinthians (Chicago: Moody Press, 1984).
Rogers, Adrian, Adrianism (Collierville, TN: Innovo Publishing, 2015)
Walvoord and Zuck, The Bible Knowledge Commentary (Wheaton: Victor Books, 1985).
Wilson, Douglas, Reforming Marriage (Moscow, ID: Canon Press, 1995).
Tradotto e adattato da F. De Lucia da un articolo online di Steve Atkerson (www.ntrf.org)