L’ORDINE DIVINO
PRIMA PARTE: PANORAMICA DELL’ORDINE DIVINO NELLA CHIESA
By Steve Atkerson
Noi tutti detestiamo la confusione. Chiedete a qualunque genitore se preferisca la confusione e promuova apertamente il caos in casa sua. Chiedete a un bibliotecario se il modo migliore di condurre una biblioteca sia semplicemente buttando tutti i libri in un magazzino, andando a cercare in tutta la confusione ogniqualvolta abbia bisogno di un libro. Come sarebbero le nostre riunioni comunitarie se tutti parlassero contemporaneamente e se fossero tenuti tre insegnamenti contemporaneamente? Come sarebbero le nostre autostrade senza luci, segnali, un accordo stabilito secondo cui dobbiamo guidare tutti dal lato destro della strada, i limiti di velocità e così via? Senza ordine, il mondo in cui viviamo non potrebbe funzionare.
Di chi è l’ordine? Dell’uomo o di Dio? È questa la domanda che affrontiamo in ogni decisione che prendiamo, quando consentiamo allo Spirito Santo di formarSi in noi. Certamente conosciamo tutti le Scritture che c’insegnano a rinnegare noi stessi, a mettere gli altri per primi e a stimare gli altri superiori a noi stessi. Ricordiamo con gioia che siamo resi conformi all’immagine del Suo Figlio, Gesù Cristo. Eppure cerchiamo ancora di ordinare il nostro universo secondo la sapienza umana più in voga.
Ecco la saggia osservazione di T. Austin-Sparks: “A quanti conoscono la Bibbia è chiaro che tutte le Scritture si fondano sui quattro punti che abbiamo indicati, ossia che
- Dio è un Dio di ordine;
- Satana è il principe di un mondo sotto il giudizio divino, e la natura di tale giudizio è la confusione;
- Cristo, in Persona e opera, è l’incarnazione dell’ordine divino;
- La chiesa è il vaso eletto in cui — e mediante cui — tale ordine divino dev’essere manifestato e amministrato nelle ère a venire”.
Esiste un modello percepibile di ordine divino in tutto ciò che fa il Signore. Cominciando dall’eterno passato, possiamo distinguere l’ordine divino nella Trinità. Quando il Signore ha creato il mondo e le Sue leggi, possiamo osservare quest’ordine divino duplicato nella famiglia, nel governo e nella chiesa.
Ad esempio, le Sacre Scritture affermano che “il capo di ogni uomo è Cristo, che il capo della donna è l’uomo, e che il capo di Cristo è Dio” (1 Cor 11:3), e che “Dio non è un Dio di confusione, ma di pace; e così si fa in tutte le chiese dei santi” (1 Cor 14:33, ND).
LA TRINITÀ
Considerate la Trinità e, in particolare, la relazione tra il Padre e il Figlio. Il Padre e il Figlio sono eguali negli attributi e nell’essenza. Passando velocemente in rassegna i nomi di Cristo (Dio, Figlio di Dio, Signore, Re dei Re e Signore dei Signori), i Suoi attributi (onnipotente, onnisciente, onnipotente, immutabile, vita e verità) e le Sue opere (crea, sostiene, perdona i peccati, risuscita i morti, giudica, manda lo Spirito Santo), abbiamo tutti elementi che ci convincono che Gesù è Dio. Per giunta, le dirette affermazioni di Gesù in Giovanni 10:30; 14:9; 17:21ss e Matteo 28:19 ci convincono tutte della divinità del nostro Salvatore. Ma com’è possibile che Egli sia eguale e sottomesso? Che cosa significa 1 Corinzi 11:3, dov’è affermato che “il capo di Cristo è Dio”? Qui abbiamo l’ordine divino nella sua forma e nella sua pratica più pure. Benché pienamente Dio, Gesù “pur essendo in forma di Dio, non considerò l’essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, ma spogliò sé stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini; trovato esteriormente come un uomo, umiliò sé stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce” (Fil 2:6-8).
Ascoltate la confessione di Cristo, mentre Egli spiega la Sua sottomissione al Padre:
Giovanni 6:38: “Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato”.
Giovanni 4:34: “Il mio cibo è far la volontà di colui che mi ha mandato, e compiere l’opera sua”.
Giovanni 5:30: “Io non posso far nulla da me stesso; come odo, giudico; e il mio giudizio è giusto, perché cerco non la mia propria volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato”.
Matteo 6:10: “Venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà anche in terra come è fatta in cielo”.
Matteo 26:39: “Padre mio, se è possibile, passi oltre da me questo calice! Ma pure, non come voglio io, ma come tu vuoi”.
Eguale ma sottomesso! È così che funziona l’ordine divino nella Trinità. È quest’ordine divino a essere impresso su tutta la Sua creazione. La famiglia, il governo e la chiesa hanno tutti esplicite istruzioni quanto alla loro funzione e pratica. Tutti questi comandi sono fondati nell’ordine manifesto che esiste all’interno delle operazioni della Trinità. Non sono comandi arbitrari di un Dio capriccioso, né essi sono limitati dalla cultura o dal tempo. Dio ha creato la famiglia, il governo e la chiesa affinché assomiglino e operino come la Trinità, e perché godano delle benedizioni dell’ordine divino in tutto ciò che facciamo.
LA FAMIGLIA
Nell’ordine della creazione, la famiglia viene immediatamente dopo. Non c’è un’altra istituzione sulla terra che assomigli maggiormente alla Trinità nel suo ordine e nelle sue funzioni. Statene certi: tutti questi paragoni fra il patto matrimoniale e il patto salvifico di Dio che si trovano in Efesini e Colossesi sono un riflesso del So amore e del Suo desiderio di condividere quell’amore con noi. Però noi dobbiamo ordinare il nostro matrimonio secondo il Suo piano, non secondo il nostro. Nello stesso modo in cui opera la Trinità nell’ordine divino, il Signore si aspetta da noi che viviamo il nostro matrimonio allo stesso modo.
Un marito e una moglie sono eguali negli attributi e nell’essenza. Galati 3:28 rivela che “non c’è qui né Giudeo né Greco; non c’è né schiavo né libero; non c’è né maschio né femmina; perché voi tutti siete uno in Cristo Gesù”. Come il Padre e il Figlio, un marito e una moglie sono eguali negli attributi e nell’essenza. Però, affinché la famiglia funzioni biblicamente, Dio ha chiaramente e inequivocabilmente dichiarato il piano divino. Il marito è certamente il capo della moglie: “il capo della donna è l’uomo” (1 Cor 11:3). Essendo il capo, gli è comandato di amare la moglie così come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato Se stesso per lei. Egli deve amarla come ama il proprio corpo, provvedendo a lei e prendendosene cura. La moglie deve sottomettersi a suo marito in ogni cosa (proprio come all’interno della Trinità: eguale, ma sottomessa). E i figli devono ubbidire. Per dirla semplicemente, il piano dell’ordine divino per la famiglia è il seguente: i mariti amano, le mogli si sottomettono, i figli ubbidiscono.
Notate che stretta rassomiglianza vi sia fra quest’ordine e quello che esiste tra il Padre e il Figli. Poiché siamo predestinati a essere resi conformi all’immagine del Suo Figlio, vedete come opera l’ordine divino a nostro beneficio e quanto siano migliori i piani del Signore di quelli dell’uomo. Considerate il caos e la confusione più totali che esistono in tutti coloro che scelgono di ordinare la propria vita familiare secondo la sapienza dell’uomo anziché quella di Dio. Alcuni sono irritati dall’ordine di Dio e, da un punto di vista culturale, sostengono che queste direttive siano desuete o solo per il tempo in cui furono scritte, e che noi viviamo in un tempo o in una cultura più illuminati. Che superficialità! Il piano di Dio per la famiglia non è nulla di più di quello che Lui e Suo Figlio godono dall’eternità, e funziona!
Notate l’ordine nell’ordine divino. Il Figlio si sottomette al Padre. L’uomo si sottomette al Figlio. La moglie si sottomette al marito. I figli si sottomettono ai genitori. Non dietro costrizione, ma volenterosamente, umilmente e con gioia nel nostro cammino secondo i piani di Dio per noi.
IL GOVERNO
Nell’ordine della creazione, il governo viene immediatamente dopo. I passi principali che affermano l’ordine divino nel governo sono Romani 13:1ss, Tito 3:1ss e 1 Pietro 2:14ss, da cui si possono scorgere tre princìpi:
Principio #1: “Non vi è autorità se non da Dio; e le autorità che esistono, sono stabilite da Dio” (Rm 13:1).
Principio #2: “Ogni persona stia sottomessa alle autorità superiori” (Rm 13:1).
Principio #3: “Perciò chi resiste all’autorità si oppone all’ordine di Dio; quelli che vi si oppongono si attireranno addosso una condanna” (Rm 13:2).
Ci vuole fede per sottomettersi a Dio; ci vuole fede affinché una moglie si sottometta al marito; ci vuole fede per sottomettersi alle autorità al governo. Talvolta dimentichiamo che la storia è la “Sua” “storia” e che il Signore opera il Suo volere in ogni tempo. In 1 Pietro 2:13, Pietro ha esortato dicendo: “Siate sottomessi, per amor del Signore, a ogni umana istituzione: al re, come al sovrano; ai governatori, come mandati da lui per punire i malfattori e per dar lode a quelli che fanno il bene. Perché questa è la volontà di Dio: che, facendo il bene, turiate la bocca all’ignoranza degli uomini stolti”.
Per edificare la fede, dobbiamo ricordare che il Signore:
- “scioglie i legami dell’autorità dei re e cinge i loro fianchi di catene” (Gb 12:18).
- “giudica; egli abbassa l’uno e innalza l’altro” (Sal 75:6-7).
- “alterna i tempi e le stagioni; depone i re e li innalza, dà la saggezza ai saggi e il sapere agli intelligenti” (Dn 2:21).
- “domina sul regno degli uomini e che egli lo dà a chi vuole, e vi innalza il più misero degli uomini” (Dn 4:17, 32).
Il governo è il ministro o il servo di Dio. Egli ha stabilito che le autorità al governo siano mistero della Sua ira, per punire quanti operano l’ingiustizia. La nostra sottomissione include l’ubbidienza alle leggi (Tt 3:1) e il finanziamento di tali leggi mediante il pagamento delle tasse (Rm 13:7). È lo stesso modello della Trinità e della famiglia… L’ordine divino!
LA CHIESA
La Parola è piena di comandi riguardo al nostro riunirci insieme per adorare. Quando ci riuniamo per celebrare la Cena del Signore, per pregare, per esortare, per cantare e godere comunione, l’enfasi è posta sulla dimostrazione pubblica dell’ordine divino. Ma le nostre assemblee lo riflettono o riflettono il meglio che l’uomo possa fare?
Chi è il capo della chiesa? Scrive Paolo: “Egli è il capo del corpo, cioè della chiesa; è lui il principio, il primogenito dai morti, affinché in ogni cosa abbia il primato” (Col 1:18); “ogni cosa egli [Dio] ha posta sotto i suoi piedi e lo ha dato per capo supremo alla chiesa” (Ef 1:22); “ma, seguendo la verità nell’amore, cresciamo in ogni cosa verso colui che è il capo, cioè Cristo” (Ef 4:15); e ancora: “Ma voglio che sappiate che il capo di ogni uomo è Cristo, che il capo della donna è l’uomo, e che il capo di Cristo è Dio” (1 Cor 11:3). Non un pastore o un anziano, non una denominazione né un sovrintendente generale, non un vescovo o un apostolo, ma Cristo è il capo della Sua chiesa.
Così come Gesù si è sottomesso Suo Padre, così come la moglie deve sottomettersi al marito, così come i figli devono sottomettersi ai genitori, così come noi dobbiamo sottometterci alla autorità al governo, la chiesa deve sottomettersi a Lui in ogni cosa. L’espressione pubblica della nostra comunione dev’essere un esempio di questa sottomissione in tutto ciò che facciamo.
In che modo gli anziani rientrano come fattori in quest’equazione? Si suppone che essi siano un esempio dell’ordine divino all’opera. Notate le qualifiche per gli anziani e le descrizioni del loro lavoro. 1 Timoteo 3:1-7 e Tito 1:7-9 li descrivono come uomini che sono a capo delle loro famiglie, che hanno le loro famiglie in ordine (divino), le cui mogli e i cui figli funzionano in quell’ordine. 1 Pietro 5:1-5 afferma che questi anziani devono guidare con l’esempio, non per forza, provvedendo supervisione mediante il loro esempio fedele di sottomissione così come l’esempio di fedele sottomissione della loro famiglia. Essi non devono signoreggiare sulla comunità, ma, seguendo l’esempio del Signore, devono condurre una vita esemplare di sottomissione.
Tutti i comandi di 1 Corinzi hanno a che fare con il modo di esprimere pubblicamente l’ordine divino. Non ubriacarsi, non consumare tutto il cibo prima che arrivino gli altri, i capi coperti, le donne in silenzio, la conduzione maschile, le istruzioni relative ai doni e, più importante di tutto, le istruzioni relative alla Cena del Signore: queste sono tutte direttive con lo scopo di esprimere l’ordine divino. Come tutti i comandi del Signore, queste non sono soggette a considerazioni culturali o temporali, ma sono le espressioni continue della Sua stessa sottomissione.
EGUALE MA SOTTOMESSO
Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo vivono dall’eternità in perfetta armonia. Noi siamo stati creati per avere comunione con il Padre. Il peccato ha interrotto tale comunione e, invece di perfezione, il nostro mondo si è riempito di caos e morte. In sottomissione a Suo Padre, il Figlio è morto affinché noi potessimo avere di nuovo comunione con Suo Padre. Siamo stati predestinati a essere conformi alla Sua immagine. Ne è risultato che il Padre ha creato la famiglia affinché essa funzioni esattamente come la Trinità. Un unico capo: il marito. Dio, poi, ha creato le autorità al governo e ci chiama a sottometterci a loro. Nel giorno di Pentecoste, è nata la Sua chiesa, la quale deve operare esattamente come la famiglia e proprio come la Trinità. L’ordine divino: nella Trinità, nella famiglia, nel governo e nella chiesa.
SECONDA PARTE: UN ESEMPIO DI ORDINE DIVINO NELLA CHIESA
By Steve Atkerson
Applicare correttamente 1 Corinzi 14:34-35 è una sfida, specialmente per quanti sono coinvolti in una chiesa in casa che abbia riunioni partecipate. Il testo recita: “Come si fa in tutte le chiese dei santi, le donne tacciano nelle assemblee, perché non è loro permesso di parlare; stiano sottomesse, come dice anche la legge. Se vogliono imparare qualcosa, interroghino i loro mariti a casa; perché è vergognoso per una donna parlare in assemblea” (1 Cor 14:34-35).
Poiché questo passo dev’essere applicato settimanalmente, è qualcosa che bisogna affrontare con serietà e onestà. Prima di cercare di spiegare che cosa potrebbe significare questo passo, bisogna fare alcune osservazioni preliminari e generali riguardo al testo.
Primo, esso era destinato a tutte le congregazioni, ovunque. In special modo rispetto al silenzio delle donne, in 1 Corinzi 14:34 Paolo si è appellato a una condizione che era già vigente in “tutte le chiese dei santi”. Questo suggerisce che, qualunque cosa Paolo volesse dalle donne, si trattava di una pratica universale. Inoltre, egli affermò che le donne dovrebbero tacere nelle “assemblee” (al plurale, 14:34). Poiché la Bibbia parla generalmente e teoricamente dell’esistenza di una sola chiesa per città, l’impiego del termine “chiese” al plurale si riferiva probabilmente a tutte le altre chiese cittadine esistenti a quel tempo.
Secondo, questo passo non è semplicemente l’opinione non ispirata di Paolo. Forse anticipando l’opposizione di questa disposizione riguardo al ruolo delle donne durante la fase partecipata della riunione ecclesiale, Paolo rafforzò il comando con l’osservazione: “Se qualcuno pensa di essere profeta o spirituale, riconosca che le cose che io vi scrivo sono comandamenti del Signore” (14:37). Poi diede questo avvertimento: “Se qualcuno non lo riconosce, neppure lui è riconosciuto” (14:38, CEI). Perciò, qualunque sia il significato di questo passo, non si tratta semplicemente dell’opinione di Paolo. È il comandamento del Signore. Non osiamo ignorarlo.
Terzo, il termine tacere deriva da sigá? e significa “assenza di qualunque rumore”, sia parlando che in qualunque altro modo. È illuminante notare come è usato sigá? in altri punti di 1 Corinzi 14. È insegnato a chi parla in lingue di tacere (sigá?, 14:28) se non sia presente alcuno in grado d’interpretare, e i profeti devono tacere (sigá?, 14:30) se una rivelazione è data a qualcun altro. In certe circostanze, non doveva essere proferito nulla né da chi parlava in lingue né da un profeta. Pertanto, qualunque sia la corretta applicazione per le donne, alle volte una sorella non deve rivolgersi alla chiesa riunita. Il comando centrale è che le donne rimangano in silenzio (14:34) durante le riunioni ecclesiali partecipate.
Quarto, il contesto che circonda questo passo riguarda l’ordine durante la fase partecipata della riunione ecclesiale domenicale nel Giorno del Signore (1 Cor 14:40). Il motivo principale per cui la chiesa si riunisce settimanalmente è per essere edificata (1 Cor 14:4-5, 12, 26; Eb 10:24-25). Il metodo principale per raggiungere tale edificazione è mediante la comunione della Cena del Signore come pasto completo (cfr. 1 Corinzi 11b). Come qualunque grande evento conviviale, è un momento in cui hanno luogo molte conversazioni contemporaneamente e nessuno viene isolato. Sia gli uomini che le donne parlano liberamente, si rilassano e fraternizzano contemporaneamente consumando i pasti. Nella chiesa primitiva, quando il pasto di comunione giungeva infine al termine, cominciava la seconda fase della riunione, la quale è descritta in 1 Corinzi 14. Questo è un tempo dedicato all’insegnamento, al canto, alla testimonianza, ecc. La regola generale per questa parte della riunione è che solo una persona alla volta si rivolga alla congregazione. Tutti gli altri devono ascoltare in silenzio. Bisogna parlare “l’uno dopo l’altro” (14:27) e “ uno a uno” (14:31). Perciò, qualunque sia il significato di questo passo sul silenzio, esso riguarda specificamente il silenzio in relazione al fatto di parlare all’assemblea uno per volta. Logicamente, questo non dovrebbe applicarsi, pertanto, al canto della congregazione, alle risposte collettive o alle conversazioni private sussurrate, e certamente non alla comunione durante la Cena del Signore (1 Cor 11:17-35).
Quinto, il requisito delle donne che tacciano relativamente al parlare pubblicamente alla congregazione riunita non è una questione di capacità o di doni, né di spiritualità. Piuttosto, è una questione di ordine divino, di ubbidienza e di mettere gli altri per primi per amore dell’avanzamento del regno. Ad esempio, a un fratello che venga alla riunione preparato a parlare in una lingua è richiesto di tacere e di non far uso del proprio dono se non vi sia presente alcun interprete. Un profeta potrebbe avere una parola bruciante che sia genuinamente dal Signore, ma se viene un’altra rivelazione da qualcun altro, quel primo fratello deve anzitutto terminare il suo discorso profetico. Similmente, le sorelle cristiane sono invitate a restare in silenzio in certi precisi momenti.
DUE TESI
Fra gli autori di questo libro, prevalgono due tesi riguardo all’esatto significato delle parole di questo paso. Una è quella del silenzio relativo al giudizio, secondo cui una donna potrebbe effettivamente parlare alla chiesa riunita, ma non giudicare verbalmente una profezia che sia stata data. Secondo questa tesi, una donna deve tacere solo in relazione al giudicare una profezia durante la fase partecipata della riunione ecclesiale. L’altra tesi è quella del silenzio rispetto al parlare pubblicamente, secondo cui la Bibbia insegna che non è mai consentito a una sorella rivolgersi a un’assemblea plenaria alla 1 Corinzi 14.
Il silenzio secondo la tesi del giudizio è abbastanza popolare nella chiesa di oggi in generale. Storicamente, però, la tesi del silenzio relativo al parlare pubblicamente è stata la posizione più comunemente assunta. Quello su cui tutti gli autori di questo libro concordano davvero è che Dio ha creato gli uomini e le donne con differenze divinamente stabilite. Ogni genere è adatto in modo unico al ministero e alla chiamata rispettivi del Signore. Siamo concordi nell’affermare che Dio ha stabilito dei ruoli sia per gli uomini che per le donne.
IL SILENZIO SECONDO LA TESI DEL GIUDIZIO
Quanti sono a favore del silenzio secondo la tesi del giudizio, applicano 1 Corinzi 14:34-35 (restare in silenzio) al giudicare le varie profezie menzionate in 14:29-33a. In 14:29a, Paolo comanda che parlino due o tre profeti; poi regolamenta la profezia in 14:30-33a. Poi, in 14:29b, Paolo ordina che le profezie siano giudicate attentamente. Poi regolamenta il giudizio in 14:30b-35. Pertanto, così come doveva tacere in certe circostanze chi parlava in lingue (14:28 — cioè solo riguardo al parlare in lingue quando non fosse presente alcun interprete), e così come dovevano tacere i profeti in certe circostanze (14:30 — cioè solo riguardo alla profezia quando un altro profeta riceveva una rivelazione), così le donne dovevano restare in silenzio in certe circostanze (14:33b-35 — cioè solo riguardo al giudicare le profezie).
Se le donne giudicassero la profezia nella chiesa significherebbe presumere una posizione autorevole, e questo violerebbe, quindi, il requisito della loro sottomissione che troviamo altrove nelle Scritture (1 Tm 2:11-13). Notate in che modo Paolo colleghi il silenzio delle donne in questo passo con la sottomissione (14:34), indicando che questo silenzio riguarda l’esercizio dell’autorità. Di conseguenza, le donne non sono autorizzate a porre domande o a interrogare i profeti quanto alla loro ortodossia. Farlo le porrebbe in una posizione di autorità al di sopra dei profeti. Invece, esse dovrebbero interrogare i loro mariti a casa, dopo la riunione, riguardo al motivo per cui certe profezie potrebbero essere rimaste incontestate (14:35).
Inoltre, quanti sostengono la tesi del silenzio rispetto al giudizio credono che 1 Corinzi 11 (in relazione alle donne che profetizzano) abbia luogo in una riunione ecclesiale plenaria e partecipata. Questo perché le direttive immediatamente successive a questo passo, 11:17-34 (riguardanti la Cena del Signore), hanno a che fare chiaramente con una riunione ecclesiale collettiva. Pertanto, in 1 Corinzi 11:2, i Corinzi furono elogiati per quanto avevano fatto correttamente nelle loro riunioni, e in 1 Corinzi 11:7 furono rimproverati per quanto avevano fatto di sbagliato. L’apparente contraddizione che si crea pertanto fra 1 Corinzi 11:2-16 (le donne che pregano e profetizzano) e 1 Corinzi 14:33b-35 (le donne che tacciono) si risolve intendendo il silenzio di 1 Corinzi 14:34-35 come condizionato. Le donne possono parlare se i loro discorsi sono “in sottomissione” (cfr. 14:34). Se, però, i loro discorsi dovessero comportare la formulazione di un giudizio sulle profezie pronunciate nella riunione, allora, in queste condizioni, le donne dovrebbero tacere. Pertanto, le sorelle devono tacere solo alcune volte, ma non sempre.
LA TESI DEL SIENZIO RISPETTO AL PARLARE IN PUBBLICO
A sostegno della tesi del silenzio rispetto al parlare in pubblico, notate l’apparente assolutezza di 1 Corinzi 14:34-35. L’ingiunzione sembra chiara come il sole e, com’è già stato mostrato, il greco dietro tacere (sigá?) significa proprio “restare muti”. Questo termine è in contrasto con un’altra parola che Paolo avrebbe potuto usare (h?sychía) e che solitamente significa “silenzioso” nel senso di tranquillo, calmo o placato, ma non necessariamente muto (se ne veda l’uso in 2 Ts 3:12; 1 Tm 2:2; 11-12). Per di più, come prevedendo che qualcuno potrebbe fraintendere il significato di “le donne tacciano nelle assemblee”, Paolo aggiunge il chiarimento che “non è loro permesso di parlare” (14:34). Egli non lo limita specificando che non è loro permesso di parlare in lingue o di pronunciare una profezia o di esprimere un giudizio o di tenere un insegnamento. Non è aggiunto alcun elemento più specifico. Evidentemente, le donne non devono dire niente all’assemblea riunita. In effetti, esse non devono nemmeno porre domande nella chiesa (14:35), “perché è vergognoso per una donna parlare in assemblea”.
Gordon Fee, nel New International Commentary on the New Testament: The First Epistle To The Corinthians, ha osservato quanto segue: “Malgrado si protesti il contrario, la ‘regola’ stessa è espressa in modo assoluto. Vale a dire che è data senza alcuna forma di precisazione. Data la natura incondizionata dell’ulteriore proibizione secondo cui ‘alle donne’ non è permesso di parlare, è assai difficile interpretare questo come se significasse qualcosa di diverso da tutte le forme di orazione pubblica. […] Il senso chiaro della frase è una proibizione assoluta di qualunque intervento nell’assemblea” (Grand Rapids, Eerdmans Publishing, pp. 706-707).
Secondo l’Expositor’s Bible Commentary, “le donne non devono parlare nel culto pubblico (34-36). […] Il comando sembra assoluto: le donne non devono tenere alcun discorso pubblico nella chiesa” (vol. 10, pp. 275-276). Inoltre, B.B. Warfield ha scritto che “quello che sta facendo l’apostolo è precisamente di vietare alle donne di parlare nella chiesa nel modo più assoluto. […] Sarebbe impossibile per l’apostolo parlare in modo più diretto o chiaro di quanto abbia fatto qui. Egli esige che le donne tacciano nelle riunioni ecclesiali; perché è ciò che ‘nelle assemblee’ significa, visto che allora non esistevano edifici ecclesiastici” (Women Speaking in the Church, in “The Presbyterian”, 30 ottobre 1919, pp. 8, 9).
John Broadus, teologo battista del Sud, commentando 1 Corinzi 14:33-34 e 1 Timoteo 2:11-15 ha affermato: “Ora non c’è bisogno di insistere sul fatto che questi due passi dell’apostolo Paolo proibiscano in modo definitivo e con forza che le donne parlino nelle assemblee pubbliche miste. Nessuno può permettersi di mettere in dubbio che questo sia il significato più ovvio dei comandi dell’apostolo” (Should Women Speak In Mixed Public Assemblies? [opuscolo pubblicato da Baptist Book Concern, Louisville, 1880]).
Un esame delle norme culturali del I sec. suggerirebbe anche che Paolo volesse davvero che le donne tacessero riguardo al parlare in pubblico. Nelle sinagoghe giudaiche, alle donne non era permesso di parlare pubblicamente. Inoltre, il biografo greco pagano, Plutarco, scrisse che la voce delle donne modeste avrebbe dovuto essere impedita in pubblico, e che ad essere udite esse avrebbero dovuto provare la stessa vergogna che se fossero state spogliate (REINECKER, Linguistic Key, p. 438). I commenti di Plutarco sembrano riflettere il comune sentimento greco-romano del tempo. Pertanto, se Paolo avesse voluto che alle donne fosse permesso di parlare nella chiesa, non avrebbe dovuto scrivere quindi diffusamente per convincere i suoi lettori di una pratica talmente anticulturale? Tuttavia, non è possibile trovare una tale argomentazione nel Nuovo Testamento. Invece, c’è il comando di tacere, un comando non basato sulla cultura dei tempi di Paolo, ma sulla pratica universale di tutte le chiese e sulle Scritture ebraiche (“come dice anche la legge”, 14:34). Paolo affermò certamente l’eguaglianza dei sessi in Galati 3:28 (in contrasto con la cultura del I sec.), ma sostenne ancora la subordinazione delle mogli ai loro mariti (1 Cor 11; 14:34; Ef 5:22ss) e che la conduzione nella chiesa dovrebbe essere maschile (1 Tm 2:11-13; 1 Tm 3; Tt 1).
Per quale motivo le donne devono tacere durante le riunioni partecipate alla 1 Corinzi 14? Secondo il testo, il loro silenzio è una forma di sottomissione: “Non è loro permesso di parlare; stiano sottomesse, come dice anche la legge”. La legge veterotestamentaria non tratta ovviamente delle donne che devono tacere nelle riunioni ecclesiali, ma insegna certamente la sottomissione delle donne ai loro mariti e fornisce il modello della conduzione maschile sia nella religione che nella società. In una situazione ecclesiale in cui l’intera chiesa si sia riunita in un unico luogo per essere edificata mediante l’insegnamento, la lode, l’adorazione, la testimonianza, ecc., gli uomini sono chiamati a essere i principali conduttori-servi. Le donne devono praticare un silenzio dinamico che incoraggi gli uomini a parlare ad alta voce e a praticare la loro conduzione.
La tesi del silenzio rispetto al parlare in pubblico armonizza le affermazioni relative alle donne che profetizzano di 1 Corinzi 11 con 1 Corinzi 14, se si osserva che il testo non dice mai specificamente che il profetizzare di 1 Corinzi 11 abbia in vista una riunione plenaria della chiesa. La preghiera e la profezia di 1 Corinzi 11 sono da intendersi, pertanto, in un ambiente diverso da quello di un’assemblea ecclesiale plenaria. La presenza del termine “chiese” (11:16) è preso per far riferimento non alle riunioni ecclesiali partecipate, ma all’accordo unanime della totalità dei cristiani che vivevano in varie località geografiche.
Ma cosa dire delle chiare affermazioni di 1 Corinzi 14:26, secondo cui tutti possono parlare nella riunione e che tutti possono profetizzare? In molti contesti, la parola “fratelli” si riferisce sia agli uomini che alle donne. Altre volte si riferisce soltanto agli uomini credenti (come in 1 Cor 7:29; 9:5). È un termine fluido. Alcuni sostengono che lungo tutta la lettera ai Corinzi, “fratelli” si riferisca sia agli uomini che alle donne. È questo il caso anche di 1 Corinzi 14? Navigando lungo il capitolo 14, avendo cominciato dal capitolo 1, la corrente sembrerebbe portare a questo. Lungo tutto 1 Corinzi 14, ai lettori ci si rivolge sia come “fratelli” sia come “voi”. Tuttavia, c’è un cambio di pronome significativo e inatteso da “voi” a “loro” nel paragrafo riguardante le donne (14:34-35). Anziché scrivere: “donne tacete”, il testo dice: “le donne tacciano”. Perché Paolo non scrisse direttamente alle sorelle, se esse fossero state incluse nel termine fratelli?
Questo cambio di pronome potrebbe essere facilmente spiegato se, lungo tutto 1 Corinzi 14, la parola “fratelli” si riferisse davvero e in prima istanza agli uomini. Alle donne, così, si farebbe riferimento alla terza persona, visto che si scrive su di loro, anziché rivolgersi loro direttamente. Perciò, quando è detto che tutti, chiunque od ognuno dei fratelli può partecipare nella riunione (14:26), ci si potrebbe star riferendo specificamente agli uomini. Le donne (“loro”) non devono fare commenti destinati a essere ascoltati da tutta la chiesa. La cosa interessante è che il Textus Receptus aggiunge la parola “vostre” prima di donne in 14:34, una riprova questa che, da un capo all’altro di 1 Corinzi 14, il termine “fratelli” si riferisce specificamente agli uomini e non alle donne. Poiché Paolo non ebbe alcuna esitazione a rivolgersi direttamente alle donne in altre sue lettere (ad esempio a Evodia e Sintìche in Fil 4:2), il fatto che egli non lo abbia fatto qui, in 1 Corinzi 14, rende il caso ancora più convincente. Gordon Fee, nel suo commento a questo passo, ha osservato che “tutte le precedenti direttive date dall’apostolo, compresi gli inclusivi ‘ciascuno’ del v. 26 e i ‘tutti’ del v. 31, non dovevano essere intesi come se includessero le donne” (p. 706).
CONCLUSIONE
Il silenzio delle donne è tanto il soggetto di una lezione quanto un’applicazione dell’ordine che deve esistere in casa e in chiesa. Esso incoraggia gli uomini ad assumere la conduzione della riunione, a essere responsabili di ciò che succede, a partecipare verbalmente, a cominciare ad articolare i loro pensieri, a imparare a essere conduttori, ecc. Una donna osservava con gioia che più stava in silenzio durante la riunione ecclesiale partecipata, più il suo marito passivo parlava ad alta voce e assumeva la conduzione (cfr. 1 Pt 3:1-2).
Talvolta, quanti liquidano quei passi della Scrittura che sembrano limitare i ruoli delle donne nel ministero non riescono a vedere il quadro generale dell’ordine familiare divino, stabilito alla creazione, che abbraccia sia l’Antico sia il Nuovo Patto. La chiesa è costituita anzitutto da famiglie. Quindi, se l’ordine ecclesiale contraddicesse quello familiare (Ef 5), ne scaturirebbero disordine e caos. Il Signore ha creato e dotato gli uomini e le donne con ruoli ministeriali complementari. La retta comprensione dell’ordine divino tanto nella famiglia quanto nella chiesa ci fa comprendere che questi brani limitativi non sono tanto restrittivi, quanto protettivi. Essi proteggono le donne dal fardello della conduzione e dal dover funzionare come gli uomini. Inoltre, incoraggiano gli uomini a essere dei conduttori-servi. Inoltre, Egli ci sta presentando un’immagine di Cristo e della Sua sposa, la chiesa, la quale è sottomessa a Cristo come suo Capo.
Si tratta di argomento serio le cui conseguenze sono di vasta portata, a prescindere da come esso sia applicato. Tutti ci troviamo ad avere a che fare con questo brano, perlomeno a scadenza settimanale. Il mio scopo nello scrivere questo capitolo è stato di offrire un’alternativa biblica agli approcci prevalenti oggi così comuni, e non di attaccare quanti sostengono tesi contrarie alla mia. Per coloro di voi che hanno letto tutto questo e non hanno preso una decisione su come applicare 1 Corinzi 14:34-35, vi prego di rendervi conto che non si può semplicemente affondare la testa nella sabbia e far finta che questo passo non esista. Stiamo attenti all’avvertimento di Paolo: “Se qualcuno non lo riconosce, neppure lui è riconosciuto” (14:38, CEI).
(trad. Antonio Morlino)
24/09/’07